"..L’esperienza del flow corrisponde ad uno stato psicofisico ottimale: uno “stato di grazia” che rappresenta un elemento predisponente importante per il verificarsi delle cosiddette “peak performances” (prestazioni eccellenti) e si identifica con una particolare condizione in cui l’atleta è così coinvolto nel gesto agonistico in atto, da escludere dalla sua mente qualsiasi altra cosa, sviluppando la massima attenzione e concentrazione..". Mihaly Csikszentmihalyi, professore presso il Dipartimento di psicologia dell’Università di Boston, è stato il primo ad occuparsi di “flow”, osservando come alcuni individui in certe particolari condizioni vengano completamente assorbiti dalla pratica di un’attività fino ad entrare in uno stato di leggera trance, ovvero in flow. La caratteristica principale del Flow è la sensazione di gioia spontanea, addirittura di esaltazione. È per questo che durante lo stato di Flow l'individuo si sente estremamente bene, si tratta di un premio senza eguali..".
Flow
Queste poche righe selezionate qua e là attraverso il copia incolla, sintetizzano e rappresentano l'incipit di un tema a me molto caro. Quanti di noi almeno una volta nella propria esperienza atletica hanno sperimentato una sensazione di estremo benessere. Una condizione in cui sentiamo di poter correre all'infinito. "Come stare in poltrona" Claudio Viti. La consapevolezza di aver raggiunto una preparazione tale da farci correre con estrema naturalezza senza percepire la fatica. "Finalmente ho capito" ci ripetiamo " da oggi in poi sarà tutto diverso. Quello provato fino adesso è stato preparatorio a questa condizione, nuova". Se vado a memoria, credo che in 25 anni di corsa mi sia capitato quattro volte. Tre in allenamento una in gara. Sono state delle esperienze, e come tali difficili da descrivere senza cadere in una riduttiva semplificazione. È come un tocco divino, quello che ti sospinge. Un soffio delicato dietro le spalle. Le gambe leggere. Le braccia naturalmente sincrone. La testa vogliosa di far correre l'insieme per un tempo indefinito. La calma dei forti ti avvolge. Nessuno può competere. Più schiacci l'acceleratore più il motore prende giri e la macchina accelera. Non senti il fondo. E prosegui a fare quello per cui sei nato. Correre. Correre. Correre per sempre. Un momento di spavalderia a cui è difficile dire di no. Un'eternità destinata a finire nell'arco di un allenamento. È qualcosa oltre lo stato di forma. Una condizione che non dipende necessariamente dal grado di allenamento. Un allineamento, un'alchimia dell'intero organismo. Il piombo corporeo trasformato in pagliuzze d'oro. Tornando alla metafora macchina, è la "Coppia" che meglio lo definisce. Ma è anche una rivelazione, una chiamata, un segno il cui ricordo ti spingerà a non fermarti in futuro, in questa strada stupenda che è l'atletica. Un'esortazione un'iniziazione. Spesso rimane la promessa che prima o poi riaccadrà. Possono passare anni prima di riprovarlo, oppure non ci sarà più dato. Tuttavia l'esperienza vissuta è così ricca da permetterci di vivere di rendita al ricordo di tanta grazia.
Nella mia piccola ricerca avrei voluto fare altre citazioni, trovate qua e là. Eppure il voler ridurre la questione ad un'analisi fredda, e la formulazione di un decalogo per far si che la cosa si riproduca a comando, mi ha fatto desistere e proseguire su altro tipo d'approccio.
Preferisco il Romanticismo all'Illuminismo. L'emisfero destro al sinistro. Il fascino dell'irrazionale alla freddezza scientifica. La completezza del cosmo alla miopia arrogante della ragione.
Lo sceneggiatore di Forrest Gump doveva pensare al flow, nella formulazione della celebre scena; dove il protagonista corre per un tempo lunghissimo, noncurante della fatica. Trascorrono giorni e notti, diventa un santone da seguire. Fino a quando una geniale affermazione "sono un po' stanchino, credo che tornerò a casa ora" lo fermerà, gettando nello sconforto gli innumerevoli follower. E perché corre? Perché ha voglia! Desiderio! La barba ed i capelli sempre più lunghi, gli scenari che cambiano, la voce narrante fuoricampo, scandiscono le migliaia di km percorsi. Non certo la fatica che mai segna il suo volto.
Il flow si può provare su altre discipline; quali l'arte, la professione e gli sport tutti. Il flow in questo senso può essere inteso come il raggiungimento dell'ispirazione profonda che molti vanno cercando. Ecco che subentrano tanti di quei fattori interni ed esterni da rendere il problema irrisolvibile cioè insubordinabile. Subito dopo la "performance" provi a pensare a ciò che l'ha determinata. Allenamento, cibo, ore di riposo, pensieri campeggianti, attività complementari svolte. La nostra propensione al controllo ci porta a provare a disporre le cose affinché si possa replicare questa piacevole sensazione. Eppure qualche variabile, per fortuna, ci sfugge e la cosa cade, e prendiamo atto dei nostri limiti o a seconda dell'approccio alla nostra ricchezza. Il flow è un frutto da cogliere ed assaporare nel momento in cui ci viene donato. Ciò che possiamo e dobbiamo, è gustarlo fino al nocciolo. Succhiarlo, senza lasciarne la benché minima traccia di polpa. In questo senso è l'attimo fuggente, il carpe diem, hic et nunc il qui ed ora. Il dono supremo.
La conoscenza profonda di ciò che siamo e possiamo. Il dono. L'illuminazione, ripeto, il cui ricordo fungerà da faro per le navigazioni future. Sappiamo che c'è, che è possibile. Questo basta, questo è sufficiente. È uno scrigno di pietre preziose e scintillanti. Un carillon pronto a suonare. Il peak performance, o meglio, il pick performance, da Picco a Cogliere la prestazione. L'accesso al subconscio come la soluzione originale e lineare alla nostra complessità. Buon flow.
Francesco Tavanti