Ogni qual volta finisce la Ronda Ghibellina provo un senso di disgusto, di stanchezza nel parteciparvi, e mi prometto che dopo tre edizioni posso passare ad altre mete. Che in fondo non è così bella come molti dicono, e che la stessa organizzazione è migliorabile e non poco. Penso al ristoro finale, fatto di crostatine confezionate al cioccolato ed alla marmellata, oltre al the caldo. Decisamente insufficiente per ricostituire l'energia degli atleti dopo 27 Km di vera fatica. Quest'anno arrivato in piena crisi di fame, lo faccio presente, mi sento in diritto per me e per gli altri. Una partecipante mi appoggia, rispondendo alle signore dell'organizzazione che mi avevano chiesto cosa mancasse. "Tutto: frutta, dolci, crostini, succhi di frutta" interviene prontamente. Nessuno vuole la polemica e la cosa finisce lì. Insomma mi doccio, e in macchina con le gambe a pezzi ripenso alla mattinata e a chi nell'Ultratrail deve ancora arrivare. Li accompagno con il ricordo della passata edizione. Ripercorro ogni salita ogni sentiero. Guado fiumi, scivolo tra le stradine medioevali, circuisco castelli, mi lascio cadere nel bosco per poi sorvolarlo come il Drone utilizzato per le riprese sulla partenza.
Parlo con chi incontro, salto muretti, cammino e corro. Pianifico i rifornimenti in autonomia, mi sfamo avidamente di arance e frutta offerte nei punti più arditi. Mi spoglio e mi rivesto, mi riallaccio le stringhe. Cerco di ascoltare ogni cosa. Di osservare volti, marche di scarpette e racchette. Valuto morfologie altrui, alla ricerca della biometrica ideale per questa disciplina. Uomini e donne, giovani e anziani, accenti del nord e del centro-sud. Chi neofita chi veterano. Qua e là qualche polemica, relativa alla segnaletica e ai sorpassi di chi, non rispetta la fila indiana al passo. Cerco di farmi un'opinione se sia giusto o meno sorpassare, quando obbligati dal singletrack, aspettiamo il nostro turno. Boh! Preferisco allungare il pensiero, tenere in sospensione la riflessione, per concludere senza darmi una risposta, ritrattando la personalissima convinzione che: in fila non si sorpassa. E' la sospensione della corsa, l'instante dove entrambi i piedi non toccano terra, la strada come meta finale, allontanando il traguardo e con esso l'abbandono della fatica. Starci dentro fino in fondo, consapevolmente, coscienziosamente. Fare ciò che possiamo. Rallentare se necessario, perdere obiettivi e velleità agonistiche. Perché ciò che davvero conta, lo dico per me, è correre, farlo fino dove possiamo come Forrest Gump. Avere un approccio Panteistico, dove il D'io lo si trova in ogni tratto della natura, e per eccesso smarrirsi, smaterializzarsi in miliardi di molecole. Provo quasi fastidio nel percepire eccessi d'agonismo, traditi da ansia ed escamotage vari. Mi chiedo se è invidia nel non poter ambire a posizioni avanzate. La risposta, sta in 25 anni di corsa, passati a rincorrere più il tempo libero per allenarmi che risultati in quella o quell'altra gara. Sta nel sentimento paritetico, che mi accompagna sia quando arrivo dietro che davanti ai miei compagni. Ciò che vado cercando sono emozioni semplici e vere. Ed è per tale ragione che l'anno prossimo tornerò nella Valle, magari di nuovo nella 44, a rincorrere sogni di autenticità, che pochi luoghi come questo possono donarti.
Francesco T