Un’insenatura nelle rocce appenniniche, una lingua del mare bucolico ci spinge come granchi sulle rocce, mentre l’irta risacca ci rallenta fino a farci camminare. Vista dall’alto la Val di Chio, si presenta come un’estroflessione, nel lato orientale, della Val di Chiana. Un’isola incantata, dove il tempo sembra essersi fermato, a memoria d’uomo, al dopoguerra, dopo, al medioevo. La valle è stata presidiata già dagli anni ’70 da tedeschi e inglesi, pionieri ed ispiratori degli agriturismo di cui il territorio fa molta offerta. Si può ancora oggi entrare in botteghine rimaste come una volta, dove alimentari e bar si fondono, dove cassette di frutta e verdura appoggiano sulla graniglia bianca e nera di bassa fattura. Dove c’è un po’ di tutto, dove d’estate è facile imbattersi in vecchietti che giocano a carte con un gotto di vino rosso, sotto la pergola. Il crinale che si protende ad arco verso Città di Castello è merlato di castelli, due di rimpetto controllano l’accesso alla valle, il maestoso Cassero e l’integro Montecchio. Quest’ultimo fino a pochi anni fa luogo di partenza di un’insolita e storica cronoscalata al S. Egidio. La sua peculiarità era quella di essere gareggiata sia da podisti che da ciclisti in montain bike, e dove oltre alle rispettive classifiche, ce n’era una collettiva che premiava il primo assoluto. Non era raro che primeggiasse un runner. Il ritrovo è presso la palestra dedicata a Fabrizio Meoni. L’ora è insolita per la stagione, ma lo impone la durata della competizione.
Alle 8 la partenza, alle 17 il tempo limite. Arrivo prima delle sette, per ritirare il pettorale. L’ambiente è caldo e accogliente, molti atleti hanno dormito nei camper nel piazzale antistante. Gli allora nemici Guelfi sono accorsi numerosi, mentre i volti noti si contano: Lorenzo, Roberto, Gilberto, la M.Chiara, Vinicio, Marco Dal lavo,
la Luisella e qualcun altro. Siamo a 15 Km da Arezzo ma sembra di partecipare ad una riunione per specialisti lontana e sconosciuta. L’abbigliamento non lo tradisce.
Alcuni hanno le racchette, molti il camelbak, tutti le scarpette da trail. Barrette, gel energetici, borracce e cellulare, obbligatoriamente appresso con inserito un numero d'emergenza. In totale siamo circa 300 partecipanti, il clima è quello che ci piace: tensione, competizione e tanta voglia di stare insieme. Tre opzioni di percorso:15, 27 e 43 Km. Io come la maggior parte degli atleti iscritti affronto la distanza mediana. Fuori ci sono 4 gradi e una leggera brezza pre-primaverile accompagna l’alba. Riscaldamento breve, foto di gruppo, start. Il primo Km d’asfalto in direzione dei Cappuccini mette a disagio i battistrada tassellati dalle suole in carbonio. Si svolta a sinistra sullo sterrato, in mezzo agli oliveti. La pendenza aumenta, poi sempre più scoscesa fino a imporci la fila indiana a passo. La gara si disputa nel lato ovest, attraversiamo la strada della foce, in un taglia e cuci fra sentieri e carrabili. Travalichiamo in Val di Chiana, attraversiamo qualche suggestivo ponticello pedonale, una stretta fenditura di roccia. Il bosco è asciutto, lambiamo ruscelli, dove la memoria dell’acqua, ci fa pensare a gorgoglii, guadi e rapide stagionali. Sfioriamo il monumento in ricordo di Meoni, entriamo nel tunnel del rifornimento. Tutto bene, migliorabile la segnaletica con vernice spray arancione e fuxia fluorescenti, che ti riporta costantemente ad una condizione innaturale. Ancora discese, risalite, valichi fino al ristorante la Foce. Imbocchiamo il sentiero 50, quello che da Passignano dopo 108 Km portava San Francesco alla Verna. Siamo nel cr inale, siamo
in Ronda. La strada carrabile continua a salire dolcemente, nel percorso sono rimaste le due distanze maggiori, fino al secondo e ultimo ristoro, dove ancora in quota ci separiamo anche dall’Ultratrail. Noi scendiamo verso la valle. Ci tengono nella strada pedecollinare. Quercie, lecci, e molti corbezzoli in frutto pronti a rifornirci. Come viandanti d’altri tempi attraversiamo i borghi collinari di S.Cristina, Collesecco e S.Margherita. Qui superiamo la strada asfaltata. Siamo nella pancia della valle e della nostra fatica. Come formiche, sopportiamo il nostro peso decuplicato dalla stanchezza. Alcuni si fermano in preda ai crampi, altri rastrellano le ultime energie. Stretti tra i campi coltivati e il fiume Vingone, una volta forza motrice dei mulini, procediamo senza riferimenti distanziometrici. L’indicazioni ci infilano in un campo di grano accestito, corriamo nella proda fino al fosso, dove è necessario saltare. Rimango un po’ perplesso. L’arrivo è direttamente dentro il palazzetto.
Goodbye Ronda, Welcome Lignano Trail.
Francesco Tavanti